La morte: una dolce compagnia

Imparare a Morire per Imparare a Vivere: Un Viaggio tra Vita, Morte e Consapevolezza

La morte è un tabù.

Oramai del sesso se ne può parlare, ma la morte, insieme al denaro, è attualmente il più grande tabù nel sistema culturale.

Le persone ne hanno paura e cercano di metterla da parte, eppure si può dire che imparare a morire equivalga a imparare a vivere.

Si parla della morte per non essere morti in vita.

Quando si sta bene, quando non sì è a stretto contatto con la morte, si pensa sempre che sia qualcosa di molto lontano…

In realtà, la morte ci è sempre vicina e ci appartiene per diritto di nascita.

 

Il concetto di essere morti in vita si riferisce alla tendenza di non essere ciò che si è davvero, un esempio banalissimo, ma evocativo, coincide con tutti i “Sì” che dici anziché tutti i “No” che vorresti dire, oppure con tutte quelle volte in cui ti freni, non ti manifesti, ti vergogni; questi sono tutti modi di un lento suicidio del Sé, con una lenta agonia. Il morto in vita è colui che, avendo paura della morte, in realtà, muore tutti i giorni. Se ti alzi e non fai quello che ti piace e non vivi come ti piace, incominci a diventare un morto in vita. Il morto in vita tendenzialmente mette la morte dietro di sé, come se a lui non appartenesse, come se ci fosse sicuramente un “domani migliore”.

Avere una conoscenza diretta e profonda della morte e una consapevolezza di dover morire sono aspetti fondamentali per imparare a vivere.

Immagina di sapere che dovrai morire tra sette giorni. Che cosa faresti in quella settimana? Faresti esattamente quello che stai facendo in questo momento oppure la tua vita sarebbe completamente sconvolta? Da questa risposta, da questa macabra, ma anche illuminante immaginazione, puoi trarre le tue conclusioni, ovvero il rapporto che hai con la morte.

Un racconto molto evocativo rispetto alla morte e a cosa significhi si trova in un’opera di Lev Tolstoj: La morte di Ivan Il’ič in cui l’autore racconta di questo giudice che per una vita aveva vissuto proprio in modo “finto”, indossando una maschera, ma non se n’era mai accorto finché non si ammala pesantemente. Da quel momento in poi, proprio quando sta soffrendo, inizia il percorso della sua felicità, inizia a vivere, si rende conto di non essere mai stato felice, qui ha inizio la sua grande rivoluzione e rivelazione interiore.

Moltissime persone riportano che ad un certo punto la loro vita è cambiata proprio perché hanno avuto un diretto contatto con la possibilità di morire. Lo stesso James Hillman diceva che la morte, nella nostra civiltà è morta e sepolta, perché le persone hanno paura della morte al punto da far finta che essa non ci sia.

Secondo Carl Gustav Jung, esiste un inconscio collettivo, ovvero, una sorta di “pensiero” comune a tutte le persone. Ma cosa succede quando le persone pensano tutte alla stessa cosa? Quella “stessa cosa” si realizza, diventa reale, diventa materia. Proviamo a pensarci meglio: il luogo della morte, per antonomasia, è il cimitero, un tempo i cimiteri erano a ridosso della Chiesa, al centro della città. Questo stava a significare che morti e vivi condividevano gli stessi luoghi; anzi all’interno dei cimiteri avvenivano addirittura i mercati e divenivano luoghi di scambio e di comunicazione. Tutto questo accadeva, in Europa, fino alla Rivoluzione Francese.

Successivamente ci fu un cambiamento nella mente delle persone, nella concezione della morte e dei morti stessi e il cimitero venne spostato al di fuori della città.

Riprendendo Jung, c’è una plausibile spiegazione psicologica dietro a questo: la morte è una zona psichica, se quella zona psichica non abita la tua psiche, tu la sposti lontana da te, sia dentro, che fuori di te. Per cui, ecco che i cimiteri sono andati al di fuori delle città come per indicare che la morte non si voglia e debba vedere, che non esiste.

 

La cultura della morte è piuttosto particolare, pensiamo alle religioni, la grande maggioranza di esse è una sorta di autoambulanza: ti soccorre dalla morte, ma non ti ci accompagna. Questo può essere visto come un malfunzionamento della civiltà ed un malfunzionamento della civiltà è un malfunzionamento psichico.

Nelle realtà tribali, il morto viene trattato in tutt’altro modo: in Madagascar viene sepolto nel terreno proprio dove le persone vivono perché “se muore un mio caro, io lo metto nel terreno della mia casa perché so che tra morte e vita non c’è separazione”. Un altro popolo in Oceania seppellisce i morti sotto a dei banani molto grandi che hanno delle radici enormi e, quando questi alberi crescono, per la loro cultura è come se, essendo alberi sacri, celebrassero il morto che è stato sepolto.

Gli antichi egizi ci insegnano il culto dei morti e gli sciamani affermano che in realtà la morte esiste in ogni istante della vita. Il fattore morte in sé non è altro che un transito, un passaggio in cui si perde completamente l’Io e ci si dimentica di sé stessi. Il libro tibetano dei morti dice che nulla è mai accaduto, che tutto questo è un sogno: e quando verrà il giorno della tua morte, questo sogno svanirà e tu sarai pura consapevolezza.

La fisica oggi sta dimostrando proprio questo: tutto è vuoto.

E se tutto un giorno svanirà, sii presente alla tua vita, sicuramente perché è un dono, ma sii presente anche alla tua morte, perché la vita stessa ti dice che sei già morto. In ogni inspirazione ed espirazione c’è un passaggio, c’è un transito, c’è una morte da un pensiero all’altro, da un’azione all’altra, da un umore all’altro. C’è sempre un vuoto, c’è sempre un’onda che cade verso il basso per poi ritornare su.

La più grande esperienza che noi facciamo della morte è quella notturna, in quel luogo ci sono i misteri, ci sono i talenti, ci sono le doti, c’è tutto quello che a volte purtroppo insegnano a non vedere perché l’autenticità, l’unicità non fa comodo: le persone, la società ti vogliono in un certo modo: bravo, addomesticabile, conformista e se esci da quel certo modo dai fastidio; perciò, ti insegnano ad essere morto in vita quotidianamente. Lo fanno controllandoti, con lo strumento più forte in assoluto: la paura, proprio perché la paura è il più grande problema che c’è e che contraddistingue la morte.

Come si impara a morire? Incominciando a lasciare andare e darsi alla vita.

Il modo più semplice è quello di lasciar scegliere qualcosa dentro a noi stessi, lasciarsi inondare dalla forza della nostra interiorità, c’è qualcosa dentro di noi che ci guida, ci conduce e a cui possiamo dire “SI”. Essere sè stessi senza sconti, senza paura, con gioia e gratitudine è un inno alla vita e un buon modo per morire, anche adesso.

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