Ci vuole un po’ di allenamento, ma imparare un «sano» egoismo è come allenare un muscolo e il primo esercizio è riuscire a dire «NO».
È probabile che non vi ricordiate quando da bambini avete iniziato a dire il primo: «NO». Sicuramente, se avete vissuto l’esperienza di genitori, sapete bene che esiste una fase della crescita, che va dai 18 ai 24 mesi, in cui il bambino inizia a far disperare chi si prende cura di lui con i suoi «no! », spesso accompagnati da capricci e piedi che battono a terra.
In realtà, quella del «no» è una fase molto importante per la crescita: da quel momento il bambino incomincia a scoprire di essere un persona indipendente, una persona a se stante rispetto alla madre: dire «NO» è uno degli strumenti a disposizione per affermare la propria personalità. In altre parole, il bambino intorno ai due anni inizia a costruire la propria identità: avverte di avere dei gusti e dei desideri che lo caratterizzano come individuo e che lo differenziano dagli altri.
Il «no» non è semplicemente una parola, ma è la chiave, un monosillabo che nella sua semplicità ed immediatezza, diventa la modalità usata dal bambino per affermare il proprio potere sugli altri, per suscitarne le reazioni, per attirarne l’attenzione. Ad un certo punto, da adulti, ci dimentichiamo del potere «salvifico» del «no», facciamo fatica a dire di «no», esponendoci a piccoli ed insidiosi rischi, che pian piano ci logorano dentro, dando vita a continue rimuginazioni e ripensamenti.
Ma perché si smette di dire di «no»? Capita per far piacere agli altri, per buonismo, per paura di essere giudicati arroganti o insensibili, per non creare problemi, perché si teme di essere abbandonati, per la paura di deludere le aspettative altrui. Insomma, incominciamo a dire una serie di «sì» poco sinceri e poco sentiti, che diventano una vera e propria prigione. Chi non dice mai di «no» subisce la volontà altrui e non afferma Sé stesso, i suoi gusti, i suoi punti di vista.
Allora cosa succede? Di solito la rabbia aumenta, insieme al senso di inadeguatezza e con essi prendono vita tutta una serie di disturbi o segnali che arrivano direttamente dal corpo, come mal di fegato, mal di stomaco, cefalea, attacchi di panico, stanchezza cronica.
Se sei tra le persone che dicono sempre o molto spesso «sì» prova a correre ai ripari, prova a cambiare rotta! Prova a ritrovare il gusto di dire: «no!». Puoi metterti alla prova con un esercizio semplicissimo: per prima cosa fallo in segreto, cioè non dire a nessuno che stai facendo questo esercizio. Eviterai di esporti a giudizi o consigli inutili. Prova, almeno una volta al giorno, a pronunciare un «no» che sia sentito: alla collega che ti chiede sempre una mano sul lavoro, al tuo compagno o alla tua compagna che esige da te continue attenzioni. Insomma quando ti capita, anziché dire «sì, grazie» prova a dire con sincerità «no, grazie». Dopo averlo detto, rivolgiti a Te stesso e domandati: «Come mi sento?», «Come sto?».
Rimani ad ascoltare Te stesso senza pensieri, non cedere ai tuoi sensi di colpa, non dare importanza ai commenti degli altri (che, essendo abituati a ricevere sempre i tuoi «sì», saranno sicuramente spiazzati dal tuo «no»).
Sono sicura che pian piano diventerà sempre più facile, finché sarà divertente accorgersi di quanto la percezione di Sé cambia, solo pronunciando la parola magica: «no!». Questo semplice esercizio rende possibile l’ascolto della parte più autentica di Te facendoti scegliere quello che davvero Ti appartiene.
Scegli di essere totale protagonista della Tua vita.
GORLA, C.,2010. Un «No!» per vivere meglio. Seregno Informa [online], Novembre 2010